Calcio
Gino Ferioli: “Con la lingua meno lunga, avrei giocato in serie A”
Gino Ferioli (1951) è stato portiere del Grosseto in serie C nel 1973-74 ed in Promozione nel 1984-85. Nella sua lunghissima carriera non ha vestito soltanto i colori biancorossi e, soprattutto, non è stato soltanto estremo difensore. Lo abbiamo avvicinato per una chiacchierata in cui ha ripercorso i suoi giorni da calciatori dagli esordi con la Juventus fino alle ultime partite disputate come allenatore-giocatore del Cinigiano.
Ormai sei maremmano di adozione ma sei nato a Cento in Romagna.
<<Eh si! Cento è il paese di Alessandro Vitali, di Renato Campanini e di Giuliano Sarti. In quel periodo era una bella fucina: adesso la Centese è un po’ decaduta.>>
I tuoi esordi risalgono a fine anni sessanta con la maglia della Juventus.
<<Ho iniziato con la Juventus nel 1969-70 ed ero in camera con Luis De Sol. La mia fortuna è stata che Piloni e Tancredi erano spesso infortunati, così sono potuto andare dodici volte in panchina in campionato senza però scendere mai in campo. Anche in Coppa delle Fiere, l’odierna Coppa Uefa, sono stato otto volte in panchina arrivando persino a calcare il Camp Nou di Barcellona. Di quella partita mi è rimasto impresso il fatto di vedere centomila persone in tribuna: è uno spettacolo indimenticabile, da brivido.>>
Quali ricordi hai di quelle trasferte europee?
<<Sono stato in panchina ovunque in Europa e ricordo che quell’anno siamo andati fuori senza perdere contro il Leeds United in cui giocava Jack Charlton. All’andata abbiamo pareggiato 2-2 in casa ed in Inghilterrà non siamo andati oltre l’1-1 con rete di Anastasi.>>
Che Juventus era quella in cui militavi?
<<In bianconero c’erano già Capello, Bettega e gli altri che avrebbero poi vinto tutto negli anni seguenti. Io non ho studiato, ma ho preteso che studiassero i miei figli, e ringrazio la Juventus perché mi ha permesso di togliermi delle belle soddisfazioni. In quel periodo alla Juventus c’era un giovane dirigente che si chiamava Luciano Moggi: su di lui posso dirti che il suo maestro è stato Italo Allodi, ex general manager dell’Inter che vinceva tutto a livello internazionale.>>
L’allenatore era Armando Picchi.
<<Ero in panchina il giorno dell’esordio di Galdiolo a Firenze, Fiorentina-Juventus: Picchi sarebbe morto poco dopo. Era una persona eccezionale, il più grande allenatore che ho avuto. È un peccato che sia morto così giovane. Quando si sedette in panchina a Firenze capimmo che era arrivato in fondo alla sua esistenza: vincemmo 2-1 con gol di Causio e Bettega, fu una partita bellissima. Il preparatore dei portieri era Lucidio Sentimenti, il mitico Sentimenti IV, e diceva che ero il suo erede.>>
Successivamente hai giocato nel Monza in serie B.
<<Andai in prestito a Monza: in squadra con me c’era un giovane promettente come Roberto Antonelli, che poi sarebbe andato al Milan. C’erano anche molti vecchi leoni come Bercellino II, Trebbi, Dell’Angelo e Fara. Era una squadra con molti giocatori esperti, forse fin troppo esperti e a fine corsa: il più giovane aveva 36 anni e dopo mezz’ora schiantavano. In porta c’era Cazzaniga come titolare, io ho giocato un paio di partite in campionato debuttando con il Foggia e mi sono divertito in coppa Italia. Quel Monza era una squadra troppo vecchia: Trebbi giocava nel Milan con Anquilletti, il quale ci ha lasciato qualche giorno fa ed era un amico.>>
L’anno seguente sei approdato al Grosseto.
<<Nel 1973-74 avevamo una squadra clamorosa. A Grosseto ho vinto la cosa più importante della mia vita: mia moglie. Il nostro fu un fidanzamento-lampo di pochi mesi e poi ci sposammo, sfidando anche le ironie dei compagni di squadra che pronosticavano una breve durata del matrimonio. Si sbagliavano, visto che abbiamo festeggiato poco fa i nostri primi quarant’anni insieme! A parte questo, disputai un bel campionato e venni convocato nella nazionale semiprofessionisti allenata da Valcareggi e Bearzot. Giocammo in Corea del Nord, in uno stadio stracolmo di militari che fecero un tifo molto disciplinato.>>
Ricordi il tuo primo impatto con la realtà grossetana?
<<Il primo impatto fu bello sul piano umano, perchè vivevo a Marina, ma sul piano sportivo fu tragico perché perdemmo le prime quattro partite. Presi gol alla seconda giornata in casa da centrocampo e dalla rete sentii inveire contro di me un signore distinto con un ombrello in maniera feroce. Ironia della sorte: quell’uomo sarebbe diventato mio suocero. Dalla quinta giornata spiccammo il volo e non perdemmo più.>>
Quali sono i compagni di squadra con cui hai legato di più?
<<Ce ne sono molti, ma mi piace ricordare quelli che sono i miei testimoni di nozze: Vinicio Ciacci e Luciano Angelini. Ho legato molto anche con Carlet. Quella del 1973-74 era una squadra che tradiva poche volte le attese: non eravamo mai domi. Dopo aver giocato in Corea con la nazionale semiprofessionistica, il giorno di Pasqua del 1974 scendemmo in campo contro la Sambenedettese e recuperammo da 0-2 a 2-2. Anche con la Lucchese seconda in classifica vincemmo 1-0 con rete di Marchetti. Era una formazione pazzesca: con Schiaretta, Di Prete, Marchetti, Piccoli, Cappanera; una squadra che arrivava in porta con tre passaggi.>>
Dopo una stagione, però, lasciasti il club unionista.
<<Dopo aver giocato con il Grosseto mi accasai alla Lucchese, poi vinsi il campionato con il Bari in serie C. Successivamente andai a Piacenza, mentre a Sorrento giocai con Bruno Chinellato che avrei ritrovato a Grosseto come allenatore nel 1984. A Sorrento salvai la squadra da solo, prima di passare al Siracusa, per poi tornare a casa alla Spal con Seghedoni allenatore che mi regalò una medaglia per le mie prestazioni in porta. In quel periodo ebbi come avversario Roberto Baggio che esordiva con il Lanerossi Vicenza in serie C. Dalla Spal andai al Giulianova e poi tornai a Grosseto nel 1984-85 grazie all’interessamento di Chinellato.>>
Non fu un’annata felicissima per il Grosseto.
<<Ci fu qualche problema e Chinellato si dimise, così la squadra venne affidata ad Enzo Galli che mi schierò anche in attacco. La squadra non era male per niente: c’erano Fugalli, Adigetti, Aprili, ma era un periodo strano sotto il profilo della dirigenza.>>
Come nacque l’idea di schierarti centravanti?
<<Mi è sempre piaciuto giocare fuori dai pali, con i piedi ci sapevo fare. Ho giocato fino a 42 anni nel Cinigiano ed ho siglato una quindicina di reti in carriera. Enzo Galli mi schierò in attacco contro il Certaldo perché c’era bisogno di una punta ed in allenamento avevo dimostrato di non essere poi così da disprezzare con i piedi. Andammo in ritiro dal Franci al ristorante e vidi che eravamo tre portieri: io, Pantani ed il ragazzino della Juniores. Qualcosa non tornava e il mister stava zitto… Quando diede la formazione disse che con il sette avrebbe giocato Fugalli e con il nove avrei giocato io. Pensai che fosse uscito di testa e che ci avrebbe riso dietro tutta la città, invece vincemmo 2-1 contro il Certaldo capolista. A fine partita Enzo Galli andò a prendere in giro l’allenatore avversario perché avevamo vinto con un portiere schierato in attacco.>>
Enzo Galli merita un capitolo a sé.
<<Enzo è una persona eccezionale: se non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Il giorno, speriamo il più lontano possibile, in cui non ci sarà più ai suoi funerali ci sarà più gente che a quelli di Pino Daniele. Enzo è benvoluto da tutti.>>
Quella annata è rimasta storica per il tuo tunnel a Maradona
<<Eh si! Successe nell’estate 1984. Di Maradona dico soltanto che come giocatore c’è poco da discutere, ma sul piano umano ci sarebbe da dire molto. Tra lui e Pelé, preferisco di gran lunga quest’ultimo.>>
Da allora tutti ti chiedono di quel’episodio. E’ diventato la tua croce.
<<Sinceramente non ne posso più di raccontarlo. E’ da quando l’ho fatto che tutti mi chiedono soltanto del tunnel… La mattina dopo iniziarono a telefonarmi giornalisti di tutta Italia, dal Mattino di Napoli alla Gazzetta dello Sport. Mi ritrovai persino in prima pagina sulla Gazzetta! Forse i giornalisti non si ricordavano chi era Gino Ferioli, ma ero un portiere che aveva una lunga esperienza da professionista e fu normale per me fare il tunnel. Neanche mi resi conto che lo stavo facendo a Maradona: poteva essere chiunque anche Penzo o Bagni. Fu un gesto istintivo, lo facevo spesso anche nelle partite di allenamento. Mi è rimasto un ricordo bellissimo di quell’incontro legato al boato della gente: la tribuna esplose.>>
Cosa ricordi delle tue esperienze in nazionale?
<<Sono stato in nazionale dilettanti agli inizi della mia carriera, poi ho fatto la qualificazione olimpica a Dresda e quando giocavo a Grosseto ho giocato in nazionale semiprofessionisti. In Corea dimagrii moltissimo: Valcareggi e Bearzot si portarono il cibo italiano, mentre noi mangiavamo autentiche porcherie coreane. Al cameriere facemmo assaggiare il formaggio e si sentì male: da quelle parti hanno completamente un’altra tradizione culinaria.>>
Dopo aver lasciato il Grosseto per la seconda volta come è continuata la tua carriera?
<<Un giorno d’estate del 1985 mi ero appena lasciato male con il Grosseto e venne al mio ufficio di pratiche automobilistiche Gianni Canuti per propormi di andare a fare l’allenatore in terza categoria con il Cinigiano. Sulle prime ero un po’ titubante perchè volevo continuare a giocare, ma non potevo andare a giocare in quella categoria con il rischio di farmi ridere dietro. Così mi venne un’idea: parlai ancora con Canuti e gli dissi che avrei voluto provare a fare l’allenatore-giocatore non in porta, ma fuori dai pali. Convocò al volo la squadra ed organizzammo un provino: se fossi stato all’altezza avrei giocato, altrimenti amici come prima. Facemmo la partita e chiesi un giudizio sulla mia prestazione: mi disse che sembravo Maradona in questa categoria e così mi ritrovai ad essere l’allenatore-giocatore del Cinigiano vincendo due campionati di fila. Il Cinigiano non aveva mai vinto un campionato prima di allora.>>
Cosa pensi del calcio di oggi?
<<Il calcio è cambiato, non lo riconosco più. Ora se non fai i 100 metri in dieci secondi non ti prende nessuno: ai miei tempi c’era un big per squadra contornato da tanti gregari. Molti giocatori dei miei tempi non potrebbero giocare, è cambiato anche il mio ruolo: non ci sono più i portieri che si buttano con la faccia. Ci sono ancora dei portieri buoni, mi piacciono Perin e Pegolo, ma non escono mai.>>
C’è qualche aneddoto curioso nella tua esperienza di calciatore che ti piace ricordare?
<<Nella stagione 1982-83 affrontammo con la Spal il Verona in Coppa Italia. Fu una partita molto bella in cui perdemmo a causa di una rete messa a segno da Di Gennaro. Quella volta mi venne a fare i complimenti negli spogliatoi l’allenatore veronese Bagnoli e mi strinse la mano anche il centrocampista Dirceu che adesso non c’è più.>>
Sei soddisfatto della tua carriera?
<<Se avessi avuto la lingua meno lunga avrei giocato in Serie A, ma va bene così: non mi lamento della mia carriera. Io non ho studiato, ma ho preteso che studiassero i miei figli e sono soddisfatto di loro.>>
Concludiamo la nostra chiacchierata con un pensiero su tuo figlio Raffaele, portiere del Montiano.
<<Come portiere, rapportato alla categoria in cui milita, è molto bravo. Avesse iniziato un po’ prima e lo avessi seguito un po’ meglio, forse avrebbe potuto fare carriera almeno in serie C. Se gli rimane questo fisico può giocare fino a 45 anni come ho fatto io e come sta facendo anche Sabatini. Anzi…se al Grosseto serve un portiere…mi alleno un po’ e poi ci sono!>>
Un salutone al mio amico Gino.
Un calcio che non esiste, purtroppo, piu’.
Il vero calcio fatto di fatica, agonismo, dove si lottava veramente per la maglia.
Ho avuto la fortuna di esserci quel giorno famoso di Maradona, e’ vero lo stadio, pieno anche d’estate, esplose in un boato.
Grande Ferioli.
Ricordo benissimo la partita di Gino centravanti anche perché è coincisa con il mio esordio nel Grosseto, ma la cosa più bella di quel periodo era andare agli allenamenti e vedere un giocatore con i suoi trascorsi che si allenava con un impegno ed una dedizione incredibili…le partite a calcio tennis, poi, con la rete a due metri, vedere Ferioli che faceva punto andando a prendere la palla in sforbiciata mezzo metro sopra il nastro,…che spettacolo!!! A lui ho visto fare, anche in partita, cose che adesso fa Neuer ed Enzo Galli, altro personaggio avanti 30 anni rispetto ai propri tempi, ne sfrutto’ subito le qualità, non solo tecniche! Grazie Gino, un grande abbraccio Walter Trentini.
Grande Gino…faresti la tua bella figura anche ora…forse nei rapporti col presidente???????ti saluto con affetto come saluto Castriconi e Trentini….che Grosseto…altri tempi
Grazie Gino per le belle parole che mi hai dedicato sei un grande e ancora adesso ho impresso nella mia mente la prima volta che ti vidi in campo contro di me….un emozione unica un abbraccio a te e i tuoi cari con ammirazione vincenzo sabatini
Un grande saluto. Juventus Club Primo Amore