Calcio
Ciavattini: con il biancorosso addosso mi sento un leone
Fabio Ciavattini (1958) a cavallo degli anni Settanta e Ottanta è stato uno dei simboli del Grosseto ed il ricordo della sua autorevolezza nel reparto arretrato non è stato scalfito dallo scorrere del tempo.
– Cosa ricordi dei tuoi esordi?
Ho disputato oltre cento partite con la maglia del Grosseto tra il 1976 ed il 1980 e poi ancora nel 1985-86. I giocatori più esperti mi hanno insegnato molto: vorrei ricordare Bruno Chinellato, uno dei miei maestri, e Negrisolo, il quale era alla fine della sua carriera di portiere. Entrambi sapevano trasmettere grandi insegnamenti e mi spronavano a dare il meglio. Sono cresciuto molto grazie a Chinellato, che aveva giocato nella Lazio: subentrai al posto suo perché a centrocampo c’era bisogno di esperienza. Bruno venne spostato in mezzo al campo ed io ebbi la possibilità di esordire giocando 19 partite con mister Robotti. Fu un’annata importante con una squadra che aveva un’ossatura profondamente grossetana: noi giovani venivamo dalla Berretti con cui avevamo raggiunto le semifinali nazionali. L’anno successivo venne raggiunta la finale e qualcuno di noi venne aggregato nonostante fossimo già in pianta stabile in prima squadra.
– In quel Grosseto militavano Carlet e Zauli, i cui figli sono stati calciatori professionisti.
Loro due erano quelli che mi facevano da chioccia. Devo molto a loro, ma non voglio dimenticare Ciacci e tutti gli altri più esperti. Mi hanno fatto sentire parte di una famiglia e non mi hanno fatto mai pesare la loro esperienza. Ero un giovane che recepiva senza controbattere: prendevo quello che c’era da prendere da loro ed incameravo.
– Dove hai svolto la classica trafila del settore giovanile?
Iniziai a giocare con il Barbanella, poi disputai due anni a Follonica sotto l’egida della Fiorentina, prima di approdare alla Juniores del Grosseto con Pazzi allenatore. Quell’anno vincemmo il titolo regionale. Quando passai alla Berretti, in panchina sedeva Nilo Palazzoli che poi ritrovai in prima squadra in C2.
– Responsabile del vivaio era Corrado Festelli.
Grande Corrado! Andavamo in trasferta con lui; ogni volta era una festa con lui e con Seminario. Persone come loro sono irripetibili, la disponibilità di Seminario è rimasta storica. Sono ricordi piacevoli e penso che persone come queste abbiano lasciato il segno nella storia del Grosseto.
– Come ricordi Nilo Palazzoli?
È stato l’allenatore che mi ha messo nella condizione di rendere al meglio. Era uno tranquillo che dava fiducia, una persona che ti teneva in considerazione ed in campo eri portato a restituirgli tutto quello che ti dava. Siamo rimasti sempre in ottimi rapporti: lo ricordo con ammirazione e stima, spero di averlo ricambiato. Un anno ero militare e venne esonerato forse anche a causa del fatto che non potevo scendere spesso in campo. Quell’anno subentrò Bassi e ci salvammo contro la Cerretese: ricordo che il tecnico si mise a piangere al termine della partita. Fu una salvezza memorabile.
– In quel periodo non sono mancati i giocatori di qualità.
Giocatori come Dolso, Asnicar, Bologna o Tresoldi in quel periodo hanno dato molto alla causa unionista. Nel 1982-83 giocavo nella Cerretese e vincemmo 7-1 contro il Grosseto: ancora oggi non mi spiego quella retrocessione dei biancorossi. La squadra era molto forte, eppure retrocesse crollando nel girone di ritorno. I guai per il Grifone iniziarono proprio perdendo con noi.
– Nel corso della tua carriera non hai indossato soltanto i colori unionisti.
Nell’estate 1980 passai al Frosinone e rimasi nella città laziale per due anni conquistando subito la promozione in C2 con l’imbattibilità, l’anno seguente raggiungemmo il terzo posto nonostante alcuni problemi societari. Nel 1982-83 andai alla Cerretese e ritrovai il Grosseto da avversario, ancora in C2. Rimasi anche la stagione seguente nella stessa categoria, ma a Venezia: in laguna ebbi alcune difficoltà perché ero abituato ad un gioco diverso nei campionati del centro-sud in cui avevo sempre militato. Al Nord si tendeva ad impostare maggiormente l’azione rispetto a come ero abituato, ma questa esperienza mi è servita a crescere ed a migliorare le mie caratteristiche. Quell’anno l’allenatore era Gianni Rossi, un tecnico che amava impostare il gioco sul piano tattico ed ho trovato qualche difficoltà prima di adattarmi alla nuova situazione tattica. Nel 1984-85 sono tornato a Frosinone, ma uno strappo al retto femorale mi tenne fuori per quasi tutta la stagione.
– Nel 1985-86 sei tornato in Maremma.
La mia ultima stagione in biancorosso cominciò non troppo bene, ma poi riuscimmo ad arrivare al secondo posto alle spalle del Ponsacco e venimmo ripescati. Mi ricordo che non disputai la partita decisiva alla penultima di campionato, quando pareggiammo contro la squadra dei mobilieri pisani, perché ero squalificato a causa di una ammonizione rimediata contro il Venturina. In quella partita avrei potuto dare un valido contributo, ma ormai penso che sia meglio non avere rimpianti.
– Non fu una stagione facile.
Quell’anno Romano Sebastiani si divise in cento per permetterci di tirare avanti nonostante una situazione societaria tutt’altro che rosea. Si occupava di cercare sponsor, faceva di tutto e fu un grande nel saper trovare e mantenere l’equilibrio necessario. Senza di lui e senza la sua concretezza non saremmo stati in grado di tirare avanti. Era un bel gruppo che riuscì a sopperire ai problemi che c’erano: in porta c’era Nioi, ma ricordo anche Naldi e Volpi. Ci divertimmo. Quel secondo posto fu importante perché venimmo ripescati in Interregionale e fu una prima occasione di rilancio dopo alcune annate difficili.
– Come è proseguita la tua carriera?
Dopo aver lasciato il Grosseto, ho continuato a giocare fino al 1994-95, poi mi sono dedicato alla carriera di tecnico che avevo già iniziato da qualche tempo come allenatore-giocatore. Ho continuato ad indossare gli scarpini nelle partite riservate agli amatori. Credo che l’esperienza di allenatore-giocatore sia stata importante anche se sono retrocesso: a volte è necessario anche sbattere contro qualche muro per fare esperienza.
– Nel corso degli anni, però, hai sempre continuato a seguire il Grifone.
Sempre, anche quando indossavo altri colori, la prima preoccupazione è stata quella di sapere cosa avevano fatto i torelli unionisti. Anche adesso che alleno, continuo a seguire la squadra e non ti nascondo che per me è stata una emozione unica indossare quella maglia biancorossa che conservo ed amo indossare a volte. Con quella maglia mi sento un leone e mi ricordo quello che ho vissuto con quei colori addosso. Per me sono grandi ricordi e spero che i tifosi si ricordino di me con piacere.
– C’è qualche sostenitore che vuoi ricordare?
Ce ne sarebbero davvero tanti: cito soltanto Natale, Francesca e Viviana, Renzo Bellini, Mario Falciani e Alfio “Pascia” Aprili, ma sarebbero davvero molti quelli da citare. Ricordo con infinito affetto anche Carlo Zecchini e Nilo Palazzoli, con cui amavo confrontarmi sulle vicende unioniste. A quei tempi, la tifoseria viveva per il Grosseto, non c’erano le televisioni come adesso ad annacquare la passione.
– Come era il calcio ai tuoi tempi?
Non mancavano i confronti aspri, ma c’era più lealtà rispetto ad oggi. Ora si vedono delle entrate a martello fatte con l’intento di fare male che rovinano il gioco sciupandolo. Mi sono sempre trovato bene con i miei compagni di reparto: da Cacitti a Pezzopane, ma anche Brezzi e Giannoni. Oddo e Gavino erano gladiatori che vincevano i contrasti soltanto con lo sguardo. Era un altro calcio e potrei citare Mille aneddoti a riguardo: ricordo ancora i duelli tra Bergamo e Petta, difensore dell’Olbia, con i Due che non si risparmiavano. Ora il calcio è condizionato dalla televisione e da certi divi che danno il cattivo esempio: prima il modello era Dolso, ora la tecnica viene lasciata indietro a favore di una eccessiva fisicità. Il calcio non deve essere soltanto tattica, ma anche fantasia: cerco di trasmettere questo, adesso che sono allenatore, ma non è facile perché la mentalità dei giovani è cambiata.
– Sei sempre stato un tifoso unionista.
Sì e lo sarò per sempre. I miei primi ricordi biancorossi sono legati alla squadra dei primi anni Settanta con Armellini e gli altri di quell’epoca. Nel 1973 non ero presente al “Rastrello”, ma c’ero alla festa della promozione, quando facemmo il funerale al Siena allo stadio. Era un calcio diverso, c’erano le famiglie in tribuna ed il modo di vivere la partita non era come oggi: quando non vedo più le famiglie allo stadio, penso che sia un brutto segnale.
– Cosa ne pensi del futuro biancorosso?
Manca chiarezza. Se Camilli decide di rimanere, speriamo che allestisca una squadra competitiva che ci permetta di fare buoni campionati. In caso contrario, penso che sia meglio se lascia ad un altro imprenditore. L’importante è che il Grosseto riesca ad essere competitivo. Negli anni della serie B sono andato a vederlo molto spesso perché volevo gustarmi una categoria che non mi sarei mai immaginato di vedere per così lungo tempo. L’auspicio è quello di tornare nella serie cadetta e speriamo che ci possano essere presto i presupposti, ma voglio dire a tutti i tifosi di stare vicini alla squadra anche nei momenti di difficoltà. Il Grosseto è la squadra della nostra città ed invito tutti ad amarla.
Bellissima intervista di un uomo / giocatore / allenatore di grandi qualità.
ti ringrazio, merito dell’amico Fabio Ciavattini
Grandissimo mister!!!!
ho avuto la fortuna di avere Fabio come mister nel mio primo anno in categoria (nel vecchio Montepescali)…è un grande allenatore e una grande persona!!
Purtroppo dei medici non si ricorda mai nessuno, nonostante che lavorino nell’ombra e diano ampio e consistente aiuto alla crescita dei calciatori. Lascia sempre un po di amarezza specie se uno ha lavorato con passione, solo con passione perche ai miei tempi il medico era l’unico operatore che non prendeva una lira.
Ma io l’ho fatto piu che volentieri per 7 anni e non me ne pento. Pero farebbe piacere qualche volta che qualcuno se lo ricordasse nei ringraziamenti
Carissimo Franco,
sei stato citato da me nel libro Cento passi nella storia proprio perché so che gran lavoro hai portato avanti nel tuo periodo unionista. Hai addirittura precorso i tempi con metodologie di lavoro e di recupero allora poco diffuse o conosciute. Questi sono i fatti, così come sanno tutti che generazioni intere di torelli biancorossi, dalle giovanili alla prima squadra, sono passati sotto le tue “grinfie”. Insomma, è vero che personalmente ti stimo, ti voglio bene e mi onoro di esserti amico, ma ti garantisco che tantissimi ex-calciatori unionisti hanno di te uno splendido ricordo.
Un abbraccio.
Yuri, non mi riferivo certo a te, che fra l’altro mi facesti una lunga intervista mi pare su questo sito o forse su Biancorossi.it
Ricordati pero che alla festa del centenario nessuno mi ha mai invitato e il libro me lo sono comprato all’edicola.
Poi qui non si puo dire, tu pero sai il dispetto che mi fu fatto da chi sai per il mio concorso da primario
Comunque io mi riferivo ai calciatori che ringraziano sempre tutti e mai il medico che magari li ha salvati da pessime figurette e da esiti seri di seri infortuni