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Grosseto al Centro: Covid-19, serve un coordinamento nazionale per la diagnosi e la cura

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Toscana verso la zona rossa

In questi giorni ho telefonato a un amico per fargli un saluto e ho scoperto che è a casa con febbre e tosse, dopo essere stato a contatto con casi positivi di Coronavirus, e che gli è stata diagnosticata una polmonite. Mi ha detto che il medico non è sicuro di ciò che si vedrebbe dalla radiografia che gli è stata fatta al torace. “Quindi avresti contratto il Covid-19?”, gli ho chiesto.”No, non sono ‘Covid’, mi hanno fatto il tampone ed è negativo”, mi ha risposto. “E allora che cos’hai?”, chiedo ancora. Non si sa, ma mi ha spiegato che circa il 30% dei tamponi può risultare falsamente negativo: “Vediamo come va con la cura che mi hanno dato, sentirò il mio medico, sarò pur sotto controllo…”

La conversazione mi lascia preoccupato. Contatto un amico medico a Reggio Emilia e mi spiega che lì da lui, in Emilia-Romagna, non vengono neppure fatti i tamponi per decidere se sei ‘covid’ o no. Mi spiega inoltre che se il quadro clinico di un paziente emiliano fosse quello del mio amico toscano gli verrebbe subito fatta la Tac del torace, per essere sicuri sulla diagnosi.

Le mie perplessità aumentano. Leggo quindi un articolo che parla di un “modello Whuan” e di una tecnologia acquistata dal Campus Biomedico di Roma, una sorta di intelligenza artificiale applicata alla Tac del torace per ottenere una diagnosi precisa e immediata sulle polmoniti da Covid-19. Ma se qui da noi la Tac non viene fatta e viene effettuata una semplice radiografia, come si fa ad applicare questa tecnologia? Per altre ragioni contatto un’amica medico che lavora in un grande ospedale romano e mi conferma che al mio amico toscano avrebbero dovuto fare subito una Tac del torace per dirimere il dubbio sulla polmonite e che il tampone potrebbe addirittura non positivizzarsi affatto.

I dubbi, a questo punto, diventano sempre più forti. Continua la mia piccola inchiesta e scopro che in Toscana ci sono “reparti Covid” in cui vengono ricoverate le persone con tampone positivo, mentre le persone con polmoniti indeterminate e tampone Covid negativo (che rimangono comunque sospette per Covid, vista la bassa sensibilità del tampone) vengono ricoverate nei reparti normali.

I dubbi e le preoccupazioni ormai mi assalgono: insomma, da zona a zona sembra che ci siano realtà diverse in cui vengono utilizzati protocolli e metodiche diverse. A questo punto penso all’articolo 117 della Costituzione e alla regionalizzazione della sanità. Di fronte a episodi che suggeriscono come l’assistenza proceda a macchia di leopardo, con i pazienti che vengono seguiti in maniera diversa a seconda della regione italiana in cui si trovano, mi chiedo: perché non creare un coordinamento nazionale per la diagnosi e la cura di questa nuova malattia? Dal momento che l’emergenza è nazionale sarebbe più logico adottare un unico protocollo nazionale invece che protocolli diversi per ciascuna regione.

In questi giorni alcuni media utilizzano l’infelice metafora della guerra. Se immaginassimo di dover entrare in guerra oggi non ci sarebbe forse un coordinamento nazionale per tale malaugurata ipotetica situazione? Oppure ogni Regione deciderebbe se e come inviare le proprie truppe? Pensiamo a quante famiglie italiane sono divise lungo tutto lo stivale: genitori a Palermo, un figlio a Siena, l’altra a Bologna e così via. Ognuno di loro, in caso di sintomi, verrebbe davvero monitorato e curato in modo diverso? Eppure la nostra Costituzione tutela la salute di ciascuno di noi come fondamentale diritto dell’individuo.

Su internet si trovano molti webinar scientifici di medici utili a standardizzare protocolli e procedure. Ciò significa che molti sanitari di prima linea sono avanti, stanno imparando da questa emergenza: la politica li segua.

Credo che dovremmo imparare tutti da questo momento di crisi/epidemia e auspico un coordinamento nazionale degli enti e delle forze scientifiche che possano far capo, come sbocco naturale, all’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità che è l’organo tecnico-scientifico del Ministero della Salute.

Standardizzare la risposta a livello di paese e garantire alti standard di diagnosi e cura in tutto il territorio nazionale è importantissimo perché permette di non lasciare indietro nessuno, permette cioè di attuare le garanzie previste dalla nostra Costituzione. Il corretto uso dei Dispositivi di Protezione Individuali in tutti gli ospedali e l’adeguata protezione con i giusti DPI di tutti gli operatori sanitari è fondamentale e non solo per garantire la salute dei coraggiosi sanitari che ci stanno proteggendo e curando, ma anche a garanzia che essi stessi non diventino veicolo di contagio per la popolazione.

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