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Calcio

Barbero: “Come faccio a non voler bene al Grosseto?”

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Grosseto. Da questa settimana vi riproporremo alcuni articoli del nostro collaboratore Giulio De Paola. Sono una serie di pezzi che parlano del Grosseto e delle sue bandiere.
Per Giulio che era tifoso e appassionato biancorosso in qualsiasi disciplina era solo un piacere ricordare e raccontare storie del genere.
Il pezzo fu scritto il 29 aprile 2015.

Eduardo Barbero (1963) era una delle promesse del calcio argentino quando arrivò in Italia trent’anni fa. Per una serie di circostanze dettate dai regolamenti federali dell’epoca approdò al Grosseto incantando le platee per un paio d’anni prima di proseguire la propria carriera per alcune stagioni nei campi professionistici della penisola. Tornato da tempo a vivere in Maremma, adesso si occupa del settore giovanile del Saurorispescia.

Come sei arrivato in Italia dall’Argentina?

<<Arrivai a Grosseto nel 1985 attraverso Graziano Galletti. Giocavo nella massima serie argentina con il Talleres di Cordoba ed avevo disputato la qualificazione per il Mondiale con l’Under 19. In squadra con me in quella nazionale c’erano giocatori come Basualdo, Goycochea e Zarate. A sedici anni esordii e nel giro di un anno e mezzo bruciai le tappe fino ad essere convocato nell’Under 19 argentina. Ebbi la possibilità di venire in Italia attraverso la Fiorentina, soltanto che quell’anno capitò una cosa che mi condizionò la carriera>>.

Cosa successe?

<<Fino a quel momento, tutti gli oriundi con il doppio passaporto erano equiparati agli italiani, ma quando arrivai in Italia misero la regola che sarebbe stato necessario scendere in campo per due anni nei dilettanti prima di poter giocare nelle squadre professionistiche>>.

Una bella mazzata per te.

<<I dirigenti mi chiesero se volessi tornare in Argentina riservandosi un’opzione su di me, ma preferii restare in Italia. La società iniziò a muoversi per mandarmi in prestito nei dilettanti e volevano mandarmi in squadre come il Migliarino o lo Spezia, poi il mio procuratore, Moreno Roggi, parlò con Luciano Moggi che lo mise in contatto con Galletti>>.

Fu proprio Galletti a portarti in biancorosso.

<<Galletti in quel periodo dava una mano alla società biancorossa e si rese disponibile a parlare con il presidente Amarugi pur non conoscendomi direttamente. Il presidente unionista decise di farmi disputare una amichevole in prova a Pitigliano e fu così che arrivai in Maremma>>.

In quella partita incantasti il pubblico.

<<A quell’epoca ero all’apice della condizione e feci faville. Vincemmo 6-0 quella sera e misi spesso Meacci in condizione di segnare servendogli dei buoni palloni. Il giorno dopo mi fecero firmare il contratto>>.

Non male come biglietto da visita.

<<Anche alla prima di campionato in trasferta contro l’Argentario disputai una ottima partita. C’era Nilo Palazzoli allenatore e, appena arrivati a Porto Santo Stefano, gli chiesi se quello fosse il campo di allenamento. Mi disse che quello era lo stadio in cui avremmo giocato quella partita, il “Maracanà”, e mi prese un certo sconforto poiché ero abituato in Argentina a stadi da trentamila persone. Quel giorno siglai un gol che è rimasto storico: feci il pallonetto a tre avversari consecutivi senza far toccare mai terra al pallone. Stoppai la palla in mezzo al campo e saltai il primo avversario facendogli un pallonetto, la palla non cadde e saltai anche il secondo avversario con la stessa giocata e con un ulteriore pallonetto scavalcai anche il portiere realizzando la rete. Non ho realizzato molte reti in carriera, ma ho fatto siglare tanti gol alle punte come Meacci che poi ha avuto una ottima e meritata carriera. Io e Adriano eravamo le punte di diamante di quel Grosseto>>.

Il 1985-86 fu una stagione positiva.

<<Sul piano sportivo sì, perché alla fine venimmo promossi. Quell’anno, però, ci furono alcuni problemi a livello dirigenziale e, di fatto, non riscossi una lira. Era il periodo in cui il direttore sportivo Romano Sebastiani si inventò il pool di sponsor Maremma per sostenere le spese vive e cercare di pagare almeno i giocatori che non erano grossetani. Alla fine di quella stagione dovetti cercarmi un lavoro ed andai a lavorare come fornaio dal Galletti>>.

Dalla massima serie argentina a fornaio in Maremma.

<<Eh, sì! Al Grosseto non mi pagavano e fui costretto a cercarmi un lavoro. Graziano Galletti mi offrì la possibilità di fare il fornaio e per un mese svolsi quella professione che, però, si rivelò non compatibile con la mia vita di calciatore per colpa degli orari impossibili. Graziano, allora, mi volle dare una mano e mi spostò ad un’altra mansione facendomi andare in giro a distribuire con il furgone i dolci della sua azienda. Passai così tutta l’estate 1986>>.

Intanto come proseguiva la tua carriera?

<<Avendo già disputato un anno da dilettante, dovevo farne ancora uno e rimasi al Grosseto perché ormai era una città che conoscevo e non mi andava di ricominciare tutto da capo. Nel corso dell’estate ricomparve il presidente Amarugi dopo un periodo in cui era stato assente e mi convinse a rimanere offrendomi anche molti soldi. Dopo un paio di mesi, però, il massimo dirigente biancorosso ebbe qualche problema finanziario e mi ritrovai per il secondo anno consecutivo a giocare praticamente gratis>>.

A quel punto, terminato anche il secondo anno, lasciasti il Grosseto.

<<Nel 1987 tornai a Firenze per giocare nella Rondinella. Realizzai più di dieci reti da ala destra e in una amichevole con la Fiorentina misi in difficoltà il difensore Carobbi che oggi allena mio figlio e si ricorda ancora quell’episodio. Furono tre anni bellissimi con Amarildo allenatore. Era stato la riserva di Pelé in nazionale e, pur essendo ormai in età avanzata, si metteva a fare torello con noi giocatori. Era ancora uno spettacolo vederlo in azione. Mi rivedevo in lui, avevamo la stessa concezione sudamericana del calcio fatta di fantasia. Quando in seguito Amarildo andò ad allenare a Torre del Greco mi portò con sé>>.

Come furono i tuoi anni alla Turris?

<<Furono anni bellissimi, anche se non ero molto adatto al girone meridionale perché ero un giocatore piuttosto tecnico ed i campi del sud non erano consoni alle mie caratteristiche. Dopo tre anni decisi di andare via ed andai ad Arezzo. Con me c’era un giovanissimo Carmine Gautieri in prestito dall’Empoli>>.

Per un periodo, nel 1990-91, tornasti al Grosseto.

<<Nell’anno di Landoni tornai al Grosseto. Non avendo una residenza, ogni anno passavo le vacanze a Marina di Grosseto in attesa di trovare un ingaggio. Quell’estate entrò in vigore il minimo federale e mi volevano varie squadre professionistiche tra cui Cuoiopelli, Ponsacco, Poggibonsi e la Sangiovannese. Avrei potuto proseguire la mia carriera in quelle categorie, ma prendevo circa un 1.800.000 Lire dovendomi pagare la casa e le altre spese, così preferii rinunciare al professionismo. Cominciai ad allenarmi con il Grosseto con i vari Bindi, Sabatini, Cacitti e Meacci ed alla fine rimasi in biancorosso>>.

L’anno dopo ti spostasti a Bibbiena.

<<Con il Bibbiena vinsi il campionato di Eccellenza in uno stadio sempre pieno di tifosi. Rimasi due anni in quella squadra e ricordo quel periodo con piacere. Andammo a giocare contro il Livorno all’Ardenza davanti a 13.000 spettatori>>.

A quel punto, però, la tua base era diventata ormai Grosseto.

<<Ad Arezzo presi il patentino di allenatore delle giovanili e, quando tornai in Maremma, aprii un’attività con mia moglie dedicandomi anche ad allenare i ragazzi. Giocai ancora un paio d’anni con la Nuova Grosseto e con il Roccatederighi, ma ormai ero concentrato nella mia nuova carriera di tecnico. A Roccatederighi creai una bella scuola calcio che durò due o tre anni unendo la squadra locale, il Sassofortino ed il Roccastrada>>.

La tua terza avventura in biancorosso è stata come tecnico del settore giovanile.

<<Dopo aver lasciato il Roccatederighi, tornai al Grosseto per allenare nel settore giovanile. Ancora non c’era Camilli, erano gli sgoccioli della presidenza Moretti. Volevo cercare di rilanciare il settore giovanile ed il primo anno andò tutto bene. Le cose cominciarono a cambiare quando iniziammo a disputare i campionati nazionali ed, alla fine, preferii lasciare il club unionista>>.

Adesso sei al Saurorispescia.

<<Da qualche anno sono al Saurorispescia e sto benissimo perché sento di godere della fiducia dei dirigenti. Grazie ad un accordo della società con il Gavorrano ho potuto disputare anche i campionati giovanili professionistici con le mie squadre e mi sono tolto anche delle belle soddisfazioni sul piano professionale>>.

Hai qualche rimpianto per quello che poteva essere e non è stato?

<<Se ti dicessi che non ho rimpianti, ti direi una bugia. Con le mie doti e guardando gli inizi della mia carriera di calciatore, penso che avrei potuto raccogliere molto di più. Ho pagato a caro prezzo quella norma federale che mi ha impedito di iniziare subito come professionista: tornato a Firenze dopo due anni nei dilettanti con il Grosseto, non potevo pretendere di rimanere in Aerie A con la Fiorentina. Se la società viola mi avesse potuto mandare in prestito in qualche squadra professionistica, forse avrei fatto una carriera diversa. A volte mi viene da pensare che sono nato in un’epoca sbagliata: oggi gli oriundi sono in nazionale, mentre io dovetti scendere nelle serie dilettantistiche per poter giocare. Quella legge la studiarono perché già allora iniziavano ad esserci oriundi che arrivavano a giocare in Italia attraverso canali piuttosto strani, come poi hanno dimostrato anche le varie inchieste che si sono susseguite negli anni>>.

Conta molto anche il destino.

<<Sicuramente. Se invece di andare a Torre del Greco fossi andato in un’altra società in cui potevo farmi notare di più come la Spal o l’Alessandria, pur guadagnando qualcosa di meno sul piano economico, forse avrei potuto sperare di rilanciarmi. Dopo aver lasciato la Turris ormai già dato il meglio di me. La stessa cosa è capitata a mio figlio che giocava nelle giovanili della Fiorentina e poi si è arenato nei campionati minori. Le società fanno delle scelte: alcuni giocatori vengono mandati in prestito in Serie B, come è successo a Babacar a Modena, ed altri si ritrovano con il cartellino in mano a doversi cercare una sistemazione. Se non hai la fortuna di trovare una società o un tecnico che crede in te, rischi di trovarti nei guai>>.

Se fossi rimasto in Argentina?

<<Penso che avrei avuto la mia bella carriera nella massima serie. Dal Talleres mi mandarono in prestito a Mar del Plata, un posto bellissimo, nella serie cadetta ed esplosi con quattordici reti. Giocavo da punta centrale e vincemmo il campionato. Queste prestazioni convinsero i dirigenti del Talleres a lanciarmi definitivamente in prima squadra spostandomi all’ala perché come punta centrale c’era José Daniel Valencia. Nel Talleres giocava anche il difensore Luis Galvàn: sia lui che Valencia avevano vinto il Mondiale 1978 con Menotti in panchina. Come giocatore assomigliavo un po’ a Caniggia e un po’ a Pedro Gonzalez del River Plate>>.

Quali sono le differenze tra il calcio argentino e quello italiano?

<<Il calcio argentino è diverso da quello italiano: qui gli allenatori già a livello giovanile puntano tutto sulla forza e sulla tattica, mentre in Argentina si dà ancora spazio alla fantasia. Questo succede perché i ragazzi in Sudamerica giocano per strada in maniera molto più libera di quanto non facciano i ragazzi italiani che vengono imbrigliati nella tattica sin da subito. Quando poi le società hanno bisogno di un giocatore di fantasia, lo vanno a prendere in Argentina… Come allenatore cerco di mescolare un po’ di Argentina e un po’ di Italia con i miei ragazzi perché penso che la fantasia sia importante>>.

Ormai sei un grossetano a tutti gli effetti.

<<A Grosseto mi conoscono tutti e mi capita spesso di venir fermato dai vecchi tifosi che mi hanno visto giocare. Anzi, voglio cogliere l’occasione per ricordare lo storico supporter Renzo Bellini: spesso non tornavo neanche a casa dopo gli allenamenti, andavo a passare le serate da Renzo. Ero un idolo per lui. Ero benvoluto da tutti, non ho mai avuto problemi con nessuno: faccio sempre volentieri due chiacchiere con i tifosi unionisti. Non vado allo stadio da qualche anno perché, per una serie di motivi personali, mi sento legato al Grosseto dei miei anni piuttosto che a quello di adesso. Nonostante tutto, però, alla squadra unionista voglio molto bene. Ho giocato in molte squadre, ma per vivere ho scelto Grosseto perché la sento la mia città. Sono cresciuto calcisticamente in Italia grazie al Grosseto: come faccio a non voler bene al Grifone?>>

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Quel fantastico goal siglato da Barbero a Porto Santo Stefano è rimasto impresso nei miei occhi… Semplicemente fantastico!!! 😀

2-2 con doppietta di Nevo Petrucci!!! Numero grande Nevo talento del Bar Rikscio’!

Grande mister….che numeri facevi in allenamento…..e quanto ci siamo divertiti quella stagione con gli allievi del Grosseto…..un saluto da Roccastrada….

Ricordo bene la prodezza di Barbero. in quell’occasione Mister Vongher, che allenava l’Argentario, pensò di far marcare ad uomo il temuto argentino. Il prescelto fù Pieroni, che per ruolo naturale era jolly di centrocampo, ma era l’unico che aveva il passo dell’attaccante grossetano. L’Argentario in seguito ribaltò il risultato(segnarono: il grossetano Nevo Petrucci e Baggiani). Nel finale pareggiò con un colpo di testa in mischia dall’ex Ghigo Fugalli(subentrato da poco). La partita di ritorno si disputò al “Vezzosi” di Orbetello(per squalifica dell’allora “Comunale-Olimpico”), terminò ancora 2-2 e Barbero non combinò granchè perchè alle sue costole fu messo il da poco esordiente Domenico “Cillo Picchianti, attuale coach dei santostefanesi.

Per la cronaca nel derby di Orbetello in campo neutro passò in vantaggio l’Argentario con Autorete di Chieffo(che nel tentativo di anticipare Baggiani lanciato a rete ,beffò maldestramente Nioi). Poi il Grosseto andò sul 2-1(il pareggio fù uno splendido fendente di Guazzini su punizione, l’altro,mi pare, un autorete). Nel secondo tempo pareggiò Biscolli, in mischia ,raccogliendo una corta respinta della difesa). Quel campionato 1985-86, il Grosseto terminò secondo alle spalle del Ponsacco(ma poi fu ripescato in Interregionale) l’Argentario giunto quartultimo(su 16 squadre) retrocesse, dopo che perse all’ultima giornata la partita-spareggio con il Cascina. le 2 squadre quella stagione schieravano all’incirca queste formazioni
Argentario: Bracci(Catani, da Gennaio Vincivalli), Picchianti(Pieroni), Giudici, Ruffilli(capitano), Rosi, Valenti, Pieroni(Prati), Tucceri, Baggiani, Ottorino Scotto, Petrucci(Biscolli).
Grosseto. Nioi, Chieffo(Cossa), Bonaiuto, Larini, Carnevale, Ciavattini, Guazzini(Volpi), Alessandrelli, Meacci, Verona, Barbero.

Ricordo perfettamente l’amichevole a Pitigliano dove eravamo in ritiro e non dimentichero mai la giocata che Barbero fece ad un certo punto.
Corsa lungo linea con l’avversario affiancato, arrivato sul fondo fece un cross incrociando le gambe di scatto.
Cross perfetto sulla testa di Meacci e gol. Io, Nilo, Roberto, Ciccio, Romano che eravamo in panchina non sapevamo cosa fare, dove s’era, se era vero, chi era quel marziano venuto dal Sud America. Una giocata cosi io l’ho vista fare solo a Maradona.
Grande giocatore Eduardo e grande persona. Tecnicamente fenomenale, se avesse avuto, oltre a piu fortuna, un briciolo di spietatezza in piu sarebbe stato su tutti i giornali per anni.

Io, invece, di Edo ho svariati ricordi. Al suo arrivo al Grosseto giocavo nell’Under 19 unionista allenata da mister Carpenetti. Rammento sempre i numeri tecnici che Edo faceva nelle partitelle tra prima squadra e noi dell’Under 19. Rapidità di gambe unita a tecnica sopraffina rendevano Barbero difficilmente marcabile. Per non farsi fregare da lui quando ti puntava l’unica cosa da fare era concentrarsi sul pallone, senza guardare il movimento delle sue gambe. Indubbiamente, per i mezzi tecnici a disposizione, Edo ha fatto una carriera molto inferiore alle attese. Mio zio, Graziano Galletti, proprio colui che fece arrivare Edo in Maremma, era entusiasta del giocatore e l’ha sempre considerato come un figlio.

Anch’io ho ricordi vivissimi come tifoso di quel periodo e devo dire che pur trovandosi il Grifone a livelli analoghi a quelli di oggi (ossia infimi) non ero così depresso e sfiduciato, calcisticamente parlando, come adesso…La spiegazione è semplice: avevo grosso modo la metà degli anni che ho adesso e una vita davanti sia come uomo che come tifoso biancorosso.

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