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Calcio

Noletti: ogni cosa della nostra vita è scritta

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Gilberto Noletti (1941) è uno dei giocatori più ricordati della storia biancorossa. Nella storia di “Jimmy” c’è il calcio ad alto livello, ma la sua vita non è soltanto questo e merita di essere raccontata.

– Sei tornato recentemente a Grosseto per un ritrovo con alcuni altre glorie biancorosse.

Non mi sarei mai immaginato di ricevere tanto affetto dopo tanti anni di lontananza. Si invecchia nel fisico, ma l’emozione è stata fortissima e mi sono commosso fino alle lacrime. Ho assaporato un amore di cui non mi rendevo conto quando ero a Grosseto.

– Torniamo alle origini della tua lunga carriera.

Ho disputato due tornei di Viareggio con il Milan, vincendoli entrambi. Contro il Dukla Praga siglai la rete decisiva in finale. Nel 1960 ho partecipato anche alle Olimpiadi di Roma e prima della rassegna olimpica giocammo con la nazionale una amichevole proprio a Grosseto:  fu questo il mio primo impatto con la città.

– A quando risale il tuo esordio in serie A?

Avevo 18 anni quando esordii con la maglia del Milan dopo le Olimpiadi, che erano andate non troppo bene perchè non ero al meglio. Passai poi in prestito alla Lazio in Serie B e nella capitale disputai una ottima annata che scatenò le voglie della Juventus. Il mio cartellino era di proprietà del Milan e quell’anno c’era già stato lo scambio tra Mora e Salvadore, così il mio passaggio avvenne in prestito; le due società si misero d’accordo per lo scambio tra me e Rossano, altro elemento della nazionale olimpica, ed andai a Torino. In bianconero mi volle Boniperti ed è bene ricordare che a quei tempi i giocatori non avevano potere decisionale come adesso.

– Come andò la tua stagione alla Juventus?

Quell’anno ero militare e dopo il car iniziai a giocare in bianconero. L’allenatore era Amaral e giocavamo a zona; questo mi agevolava per mettermi in mostra tecnicamente. In quella squadra erano molti gli elementi di qualità: c’era Sivori, che mi ha fatto da testimone di nozze, ma anche Del Sol, Leoncini, Salvadore e tanti altri. Dominammo il girone di andata battendo nettamente anche l’Inter di Herrera poi, a Natale, la Juventus chiese di rilevare il mio cartellino ed il giornalista Gianni Brera iniziò a “prendere in giro” il Milan perché non andava molto bene ed aveva molti elementi validi trasferiti in prestito nelle altre squadre. Il riferimento, chiaramente, era anche alla mia situazione ed il noto dirigente milanista Gipo Viani rimase turbato da questo articolo al punto che fermò la possibile operazione di mercato. Ero arrivato al Milan a 15 anni, ma alla Juventus stavo davvero bene e sarei rimasto volentieri. Giampiero Boniperti, che era dirigente della Juventus in quegli anni, nel frattempo mi aveva fermato decidendo di non farmi scendere in campo per non far salire troppo le pretese del Milan, ma poi arrivò quell’articolo di Brera a sparigliare le carte in tavola.

– Eri apprezzato dalla Juventus.

Sivori voleva che rimanessi. Mi consigliò alla dirigenza, stravedeva per me perché voleva circondarsi di persone che comprendessero il suo modo di giocare. Mi diceva sempre << Io vado contro quelli dietro, creo un muro, mi stacco Due metri e prendo la palla da te. Tu sappi che devi darmi il pallone>>. Ero l’unico che si intendeva al volo con lui e con me andava a nozze.

 – Nonostante tutto, però tornasti al Milan.

Tornai al Milan malvolentieri, ma rimasi in rossonero Quattro anni costellati da infortuni vari: il più importante dei quali fu a San Siro contro il Bologna. Quel giorno mi ruppi il tendine e stetti due anni fermo, poiché non esistevano le tecniche di adesso.

 – Dopo l’infortunio tornasti in campo, seppur malconcio.

Ero zoppo, ma sapevo giocare e così nel 1967 passai in prestito alla Sampdoria dove c’era l’allenatore Bernardini che stravedeva per me. Non scesi mai in campo. Il problema è che ero troppo rotto e tornai al Milan al minimo di stipendio. Fu un periodo difficile e passai al Lecco in Serie B, ma retrocedemmo e rimasi altri Quattro mesi fermo perché non stavo bene.

– La tua carriera sembrava avviata al tramonto.

Ad un certo punto, però, mi chiamò Todeschini a Sorrento e lì avvenne la mia rinascita perchè riuscii a recuperare fisicamente grazie anche al clima migliore. Feci una bella stagione e suscitai l’interesse del Napoli di Ferlaino, ma un articolo negativo di un giornale locale fece saltare l’operazione. Dovevamo andare al Napoli io e Bruscolotti, ma andò soltanto lui perché il mio passaggio fu boicottato dai giornali locali.

– A Sorrento, dunque, rinascesti.

Vincemmo il campionato ed io giocavo da mezz’ala togliendo anche spesso la soddisfazione del goal. Era una piccola realtà e giocavamo su un campo sterrato, ma venimmo promossi in Serie B.

– Ti adattasti bene a giocare mezz’ala?

Credo che la tecnica sia un dono che mi è stato dato, poi è chiaro che mi ha aiutato l’allenamento continuo ed il fatto che mi sono rinforzato fisicamente.

– Dopo Sorrento non mancarono le occasioni di risalire nel calcio che conta.

 Mi voleva anche il Palermo ma alla fine andai alla Casertana del presidente Moccia che, successivamente, venne rapito da dei malviventi. La squadra era stata costruita per andare in Serie B, ma non ce la facemmo perché evidentemente la rosa non era stata assortita bene.

– Fu così che arrivasti a Grosseto.

Fu Canuti a portarmi a Grosseto. Lo avevo avuto a Sorrento e conoscevo anche Mister Landoni. Avevo 33 anni ed accettai anche perché conoscevo la Maremma, dato che andavo da quelle parti al mare quando giocavo nella Lazio.

– Ti trovasti bene in Maremma?

Non sarei mai andato via da Grosseto. Dopo il mio ritiro feci anche il direttore sportivo, ma emersero alcune divergenze con la società e, come si suol dire, lì cascò l’asino. Avevo concluso un grande affare accordandomi con Luciano Moggi per far passare Carlo Borghi alla Roma, ma il giocatore biancorosso si fece male ad un tendine e sfumò tutto. Borghi poi passò al Torino e fece la sua bella carriera, ma ormai i problemi erano troppi e non mi trovavo più bene con la società. L’unico a comprendermi era il presidente Mario Ferri, era l’unico che mi stava vicino e mi sosteneva. Quando morì ci rimasi male.

– Torniamo ai tuoi ultimi tempi da calciatore. In pochi sanno che c’è stata anche una appendice in Canada.

Ero ormai a fine carriera, praticamente ero già fermo, e mi giunse l’eco di una possibilità di andare a fare l’allenatore-giocatore in Canada. Fu così che andai da pioniere ai Castor Montreal, fui contattato dal presidente della squadra ed arrivai là come un pellegrino in terra straniera. La situazione era pazzesca: arrivai a Montreal, andai a prendere la valigia e mi posizionai su un tapis-roulant. Ad un certo punto, vidi un assembramento di persone con le macchine fotografiche e le telecamere: pensavo che ci fosse un attore, invece ce l’avevano con me. Mi resi conto di ciò poiché iniziarono ad indicarmi chiamandomi per nome, mi sembrava un film. Mi sottoposi alle interviste di rito, poi venni prelevato e portato in una grande stanza di albergo e, successivamente, in un ristorante con un napoletano che mi preparò la pizza.

– Come andò a finire la tua esperienza canadese?

La mia esperienza in Canada, praticamente, neanche iniziò perché la mia vita era cambiata.

– Cosa era successo?

All’improvviso mi sono ritrovato a terra come un somaro, la mia è stata una conversione. Dopo tanti anni ho sentito l’esigenza di andarmi a confessare e, all’improvviso, mi sono tornate alla bocca le preghiere che dicevo in collegio quando ero bambino. Praticamente, d’un tratto ho ritrovato le mie origini. Mia madre ha pregato tanto per me che pensavo soltanto a divertirmi e alle donne.

– In quell’ambiente era facile lasciarsi travolgere.

Le donne mi venivano a cercare ed io mi sono lasciato coinvolgere. Nonostante tutto, però, sentivo sempre dentro di me l’esigenza di entrare in chiesa. Sentivo questo dolore, ma poi passava perchè prendeva il sopravvento il mio lato di leader. Tutto questo fino a quel giorno in cui è avvenuta la mia conversione. La mia materialità, l’ho capito successivamente, era frutto dell’energia che avevo dentro di me dalla nascita. Ogni cosa della nostra vita è scritta. Erano tutti attratti dalla mia personalità e dalle mie doti, le donne mi cercavano anche perché ero un calciatore famoso, ma poi la mia vita è cambiata. Ero un leone e non mi fermavo: potevo avere davanti l’avvocato Agnelli o il vescovo, ma non mi fermavo davanti a niente. Ringrazio mia madre per quanto ha pregato per me, ma ringrazio anche Dio per quello che mi ha dato. L’ho detto anche quando mi ha portato via mio figlio Andrea: ringrazio il Signore per quello che mi ha dato. Il Signore mi ha dato l’umiltà, quell’umiltà che trovo anche in questo papa. Papa Francesco mi piace perchè è umile.

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Bella intervista commovente alla fine. Ma quanti figli ha noletti qualcuno lo sa. Mi ricordo che uno giocava nei ragazzi del grosseto ed era anche bravo.

Intervista bella e commovente. Ricordo un figlio di noletti che giocava nelle giovanili del grosseto . Sapete come si chiama io non ricordo il nome grazie

Ricordi di un calcio che fu…e che oggi non esiste più…
Tani, Schiaretta, Tendi, Carpenetti, Pezzopane, Noletti, Piccoli, Cappanera, Di Prete, Marini, Marchetti

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