Calcio
Scuola calcio: quando si perde di vista l’obiettivo. Intervista a Isabella Gasperini, psicologa nelle scuole calcio a Roma.
L’episodio di scambio di persona, effettuato nella fase regionale del campionato Fair Play Esordienti, ha suscitato tanto clamore ed indignazione tra gli addetti ai lavori e semplici lettori. A tale scopo, abbiamo ritenuto utile affrontare l’aspetto della centralità dei ragazzi nei progetti delle scuole calcio. Unico bene da salvaguardare. Per fare questo, abbiamo chiesto un parere ad un’esperta in materia, la dott.ssa Isabella Gasperini. Prima di porle alcune domande, però, corre l’obbligo di presentarla brevemente ai nostri lettori. La dott.ssa Isabella Gasperini è originaria di Canino (Vt), ma oggi vive a Roma, dove svolge la sua attività professionale. Laureata in Psicologia presso l’Università La Sapienza di Roma, è iscritta all’Albo degli Psicologi ed a quello degli Psicoterapeuti ed inoltre all’Associazione Italiana Psicologi dello Sport. È specializzata nel lavoro con le scuole calcio*. È una professionista del settore, molto apprezzata e conosciuta per i suoi interventi in riviste specializzate, indirizzate alle società sportive e agli allenatori. Il suo ultimo sforzo è racchiuso nel suo libro (pubblicato proprio quest’anno) “Scuola calcio, spunti e riflessioni e utili risposte della psicologa direttamente dal rettangolo verde“, edito da lei stessa. Libro ricco di spunti e aneddoti trasferiti dal campo, acquisiti dal rapporto diretto con allenatori, ragazzi, genitori e società sportive. Una lettura interessante e di ausilio per chi volesse approfondire un argomento così ampio e complesso.
Isabella, parliamo di scuola calcio sotto una lente diversa, quella della psicologa. Per introdurre l’argomento, ci spieghi brevemente il lavoro che svolgi presso le scuole calcio con cui collabori?
<<L’attività che svolgo presso la Lodigiani e l’Atletic Soccer Academy di Roma, consiste in un supporto dal bordo campo agli istruttori della scuola calcio e se necessario ai ragazzi ed ai mister del settore agonistico. Si tratta di offrire una visione più ampia delle varie circostanze che coinvolgono le relazioni in campo, arricchite appunto da un’angolatura diversa, rispetto a quella da cui il calcio giovanile viene osservato. Si tratta appunto della mia prospettiva, volta a cogliere i bisogni dei bambini e quindi a evidenziare cosa si aspettano dalla pratica di questo sport per crescere sereni>>.
In questi anni, hai sicuramente maturato una tua idea dei punti di tensione più comuni che si possono creare nei rapporti che si instaurano all’interno e all’esterno del rettangolo di gioco. Quali sono i principali e di conseguenza, secondo te, le regole imprescindibili per un buon lavoro che li possano prevenire?
<<Noto, purtroppo, che spesso lo squilibrio emotivo che si innesca nel giovane calciatore è creato dalla mancanza di definizioni nette tra i ruoli degli adulti che si aggirano attorno ai ragazzi. Perché ogni bambino, ogni ragazzo, sia libero di esprimere le sue attitudini e le sue iniziative è necessario che gli istruttori facciano gli istruttori, che i genitori facciano i genitori e che i responsabili delle società facciano i responsabili delle società. A ognuno il suo spazio d’azione, interagendo, ma ognuno nel suo spazio, senza sovrapporsi>>.
Il rischio di una “deriva”. Quando si perde l’obiettivo prefissato e cioè la crescita psico-fisica dei ragazzi e si sbanda sulla voglia di risultato, quali sono i rischi in termini reali che corrono i ragazzi?
<<Tutto ricade sulla definizione di ciò che si intende per risultato. Se stiamo parlando di classifica, questo tipo di risultato deve essere concepito come l’effetto positivo di un approccio più ampio che rappresenta il vero risultato ambito: la crescita caratteriale del giovane atleta. Crescere, nel senso di limare il proprio carattere avvalendosi di esperienze che smussano, soprattutto di natura negativa… Rimanere in panchina, entrare al secondo tempo, non essere convocato… È la sofferenza e il modo di tollerarla che fa la differenza. Chi la regge va avanti e da essa viene stimolato a trovare strategie per “dribblarla”… Così si cresce>>.
Proprio in merito all’episodio accaduto pochi giorni fa in una manifestazione in Toscana, dove una società ha fatto giocare due ragazzi di età più grande e con il nome di altri. Aldilà degli aspetti disciplinari, a noi, ovviamente, interessa il tuo parere sulla ricaduta che tale decisione può avere sulle persone coinvolte. Come affronta un ragazzo di 12-13 anni un episodio così forte?
<<Prima di tutto mi vengono in mente i ragazzi appartenenti a quella squadra, esclusi dal gruppo perchè sostituiti da ragazzi più grandi. Bel colpo basso alla loro fragile autostima! In ogni caso, sono stati sostituiti da ragazzi ritenuti più forti di loro ed esclusi. L’esclusione, in un preadolescente è un’esperienza davvero frustrante. Poi, mi vengono in mente gli altri componenti della squadra. Inserire un supporto con dei ragazzi più grandi è un messaggio indiretto con cui gli si è comunicato che con le loro forze non erano ritenuti affidabili. Che per vincere avevano bisogno di una strategia, peraltro scorretta. In questi casi perchè non investire su qualcos’altro, su un discorso pre-partita dove il mister esorta con ostinazione, dove rende leoni dei semplici ragazzi desiderosi di vincere, un mister poi pronto ad accoglierli nello spogliatoio, in caso di sconfitta, motivato e pronto a rimettersi in piedi dopo che la sconfitta li ha piegati? Basta dirgli che c’è l’hanno messa tutta e hanno perso con dignità perchè con le loro forze… Basta questo per salvaguardare l’equilibrio di ragazzi di questa età>>.
Nel presentarti ai lettori di Grosseto Sport, ho citato anche la tua ultima fatica, il libro che hai recentemente pubblicato. Sicuramente frutto degli anni passati a bordo campo. Quanto è stato difficile farsi aprire le porte in questo mondo, spesso autoreferenziale?
<<Sono entrata nel mondo del calcio per gioco, invitata più di 10 anni fa, alla scuola calcio della Lodigiani da un amico di mio marito che già allora faceva l’istruttore di un gruppetto di Esordienti. Respirare solo l’aria che mi giungeva dalla passione dei bambini e dall’entusiasmo dei mister, mi ha indotto ad infilarmi una tuta e cominciare ad andare in panchina. Il calcio è magia allo stato puro. Se ti lasci andare, il calcio ti prende con sé e non ti lascia più. Il mio libro raccoglie tante esperienze che si presentano nella quotidianità della vita di una scuola calcio. Il bambino che non vuole fare la doccia, il mister che non sa come gestire i bambini vivaci che disturbano, i genitori che non riescono a differenziarsi dal proprio bambino e soffrono inutilmente dietro la rete. Se viene dato uno spazio di riflessione a genitori ed allenatori, tanti errori e tanti malumori si potrebbero evitare>>.
La diffidenza maggiore verso il tuo lavoro, se c’e ne è, con chi l’hai riscontrata maggiormente? genitori, ragazzi o mister e dirigenti?
<<Verso chi ancora non mi conosce. C’è sempre una certa diffidenza laddove non mi conoscono. Io lo so e faccio finta di non accorgermene e cerco di essere solo me stessa. Allora i genitori, gli allenatori, i bambini, sentono che sono lì per condividere emozioni e per favorire la tenacia e la voglia di giocare liberi e serenamente. Credo che per lavorare come psicologa nelle scuole calcio, prima di una buona preparazione, di certo indispensabile, sia necessario metterci il cuore>>.
*Ecco l’elenco delle collaborazioni della dott.ssa Gasperini con le varie scuole calcio:
S.S.Lodigiani di Roma (stagione 2002- 03);
S.S.Cisco-Lodigiani di Roma (stagioni 2003-04 e 2004- 05);
S.S.Lodigiani di Roma (stagioni 2006-07, 2007-08, 2008-09, 2009-2010, 2010-2011, 2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014);
A.S. Futbolclub (stagioni 2006-07 e 2007-08);
S.S.Cisco Calcio Roma (stagioni 2006-07 e 2007-08);
A.S.D. Atletico Flaminio (stagioni 2009-2010, 2010-2011 e 2011-2012);
S.S. Atletic Soccer Accademy (stagioni 2012-2013 e 2013-2014);
Mi dispiace molto che la dottoressa non sia stata informata correttamente su come si sono svolti i fatti. Non si sarebbe soffermata sul colpo alla fragile autostima degli esclusi se avesse saputo che quelli del 2002 che non hanno giocato non lo hanno fatto NON perchè quelli del 2001 erano più forti di loro,ma perchè erano infortunati!
Essendo infortunati per ovvi motivi non potevano giocare e l’essere sostituiti era una conseguenza della logica calcistica e del normale gioco di squadra senza alcun colpo alla loro autostima.
La squadra, senza più il numero minimo di giocatori del 2002, doveva essere ritirata e, invece, l’allenatore ha fatto mentire i due bambini del 2001 pur di giocare (e vincere il torneo FAIR PLAY).
Sarebbe interessante quindi che la dottoressa spiegasse:
– come hanno vissuto i due bambini del 2001 questa bugia? Cosa ha lasciato in loro mentire e imbrogliare davanti a telecamere e spettatori?
– come hanno vissuto i bambini del 2002, regolarmente in squadra, questo inserimento ingiusto e la vittoria che ne è conseguita?
– cosa dire dei genitori dei bambini del 2002 e del 2001 che hanno acconsentito, non ribellandosi al clamoroso imbroglio? Che personalità hanno genitori così e che tracce hanno lasciato di loro nella psiche dei figli?
In tanti gradiremmo risposta perchè il tempo passa ma non dimentichiamo.
Grazie
Gentile lettore, lettrice, posso garantirle che la dott.ssa è stata informata molto bene in merito al fatto in questione. Se rileggerà attentamente, nell’intervista troverà molte risposte alle domande che lei ha posto. In merito ad alcune valutazioni che lei fa, posso soltanto dirle che essendo un fatto che coinvolge anche minori, sia io che la dottoressa abbiamo precise norme deontologiche da rispettare nel trattare la materia. Converrà, però, con me, che le risposte che come genitore vorrebbe da me e dalla dott.ssa dovrebbe chiederle e averle dalla società interessata dal fatto. Solo loro potranno darle risposte più precise rispetto al comportamento messo in opera da propri tesserati, e quali saranno le azioni che intendono compiere per evitare che tali episodi possano ripetersi. In ogni caso, grazie a lei e mi scusi se le ho risposto solo adesso.