Calcio
Carlo Pucci: i colori biancorossi sono qualcosa di unico
Carlo Pucci (1931) è un autentica leggenda del calcio grossetano, un simbolo incancellabile nella storia del club unionista, ed intervistarlo è un’emozione che non può essere nascosta. Pucci è il giocatore in vita che ha indossato più volte la maglia biancorossa: 259 presenze con i torelli rappresentano, infatti, un traguardo che è stato superato soltanto da Nilo Palazzoli (260) e da Carlo Zecchini (273).
– Parlare con Carlo è riscoprire una Grosseto che non c’è più ed il primo ricordo riguarda un evento tragico come il primo bombardamento del 26 Aprile 1943.
Fino a quel momento sentivamo la guerra come qualcosa di lontano da noi, avvenne tutto all’improvviso e ci sorprese. Era Lunedì di Pasqua e mi trovavo sulla salita del ponte che c’era allora sul Diversivo: dalla ferrovia vidi arrivare rapidamente gli aerei verso di noi, così altrettanto rapidamente mi buttai da una parte e scappai verso Grosseto. Fu un incontro triste e pauroso con la guerra che sconvolse la nostra tranquillità.
– Non bastava la guerra: il 2 Novembre 1944 la città venne colpita dall’alluvione.
Anche quello fu un evento triste. Quando passo da Porta Vecchia mi soffermo sempre a guardare le targhe sulle mura e mi tornano a mente quei ricordi.
– Hai cominciato la carriera nel 1945-46 con la De Martino del Grosseto, debuttando in prima squadra nel 1949. Quali erano le sfide più calde in quegli anni?
Giocavamo contro squadre di cittadine vicine a noi, ma si trattava di comunque di incontri molto sentiti. Abbiamo passato dei bei momenti, per noi è stato è un periodo bello che ci ha unito ed i molti derby ci hanno dato una spinta in più.
– Il tuo maestro è stato Remo Carmignani.
Carmignani era un ex difensore del Grosseto, era stato un giocatore molto valido dal fisico molto curato. Ci ha lasciato da qualche anno, sono rimasto con lui fino in fondo: era una persona molto gentile ed ha seguito il club unionista con molta passione fino ai suoi ultimi giorni.
– Le stelle, in quegli anni, erano Nascenzi, Volandri, Benini, Conforti e Lottini.
Te lo confermo. Oltre ad essere delle brave persone, erano tutti atleti molto preparati fisicamente. Persone da ammirare sia livello umano che sportivo; erano i migliori che c’erano nel nostro territorio.
– Cosa si può dire di Fabrizio Bartolini e Alberto Fommei?
Bartolini è stato un grandissimo giocatore, abbiamo passato dei momenti meravigliosi a livello sportivo. Persone come lui e Alberto Fommei giocavano per la gioia di dare qualcosa alla nostra città e al nostro sport. Credo che siano da ammirare e da prendere come esempio.
– Il presidente era Sartori ed il suo braccio destro era Bruno Passalacqua.
Grandi persone anche loro. Passalacqua è stato un mio grande amico che poi si è fatto una carriera dimostrando il suo valore al Milan. Già quando era segretario al Grosseto era seguito dalle grandi società per le sue qualità di dirigente.
– Quali erano i ritrovi degli sportivi?
Il Caffè Italiano è sempre stato un covo di appassionati: era il principale punto di ritrovo di tutti i tifosi. Per tanti anni è stato così, poi la cosa si è affievolita perché sono i cambiati i tempi: a quell’epoca, seguire la squadra era l’unico svago o quasi.
– E’ del 1952-53 la tua esperienza ad Avellino in IV serie.
In Campania sono stato molto bene. Mi vollero con loro perché conoscevano le mie doti di calciatore. Per loro rappresentavo il Grosseto, una realtà lontana, ed ero benvoluto. E’ stato un periodo molto bello: c’erano anche là molte brave persone che volevano bene a noi giocatori.
– Dopo un solo anno tornasti a Grosseto. Degli allenatori Hajos e Kovacs che ricordo hai?
Un ottimo ricordo, davvero. Prima di tutto, erano bravi come tecnici e poi erano di una cortesia incredibile. Erano come dei padri per noi, ci volevano molto bene ed il ricordo che ho di loro a distanza di molti anni è assolutamente positivo.
– Negli anni seguenti debuttarono Cleto Marini, Nilo Palazzoli e Giacomo Milan.
Tutti ragazzi eccezionali. Avevano una grande passione per il calcio ed erano ragazzi educati, erano qualcosa di meraviglioso. Erano molto attaccati alla società, tenevano molto al Grosseto.
– Terminata l’era Sartori, iniziò la lunga presidenza di Mario Ferri.
Ci sono stati tanti bravi dirigenti, ma Ferri è stato qualcosa di eccezionale. Lo definisco bravo, onesto e gentile nei nostri confronti. Indimenticabile.
– In quegli anni, una delle personalità più note di Grosseto era Luciano Bianciardi.
Conoscevo Bianciardi ed anche a lui mi legano ricordi indimenticabili: era una persona che sapeva quello che faceva, ha dato lustro alla città.
– Nel 1960 lasciasti il Grosseto.
Mi cercarono altre squadre ed andai prima a Civitavecchia e poi a Massa Marittima, ma non ci fu un litigio tra me ed il Grosseto. Vidi che c’era spazio per me in queste zone che erano rimaste fuori dal panorama sportivo ed andai a dare una mano.
– Negli anni Settanta sei tornato in biancorosso come allenatore in seconda.
Per un periodo sono stato allenatore in seconda, aiutavo Mario Genta. Quell’anno mi consentì di stare accanto al Grifone, ma mi servì anche sul piano personale.
– In un match amichevole il Grosseto sfidò le vecchie glorie della Juventus.
Era il 1975 ed affrontammo con altri ex torelli le vecchie glorie juventine: il centravanti bianconero fece una rovesciata che mi è rimasta impressa.
– Per anni sei stato presidente del Coni provinciale.
Al Coni mi sono sempre trovato bene perché c’era poco da soffire. Ero ricercato perché ero conosciuto come calciatore e mi misi a disposizione per puro spirito di servizio. Gli sportivi grossetani erano un’unica famiglia, ci conoscevamo tutti indipendentemente dallo sport che praticavamo.
– Quali pensi siano stati i migliori giocatori della storia unionista?
Sono molti i giocatori che hanno dimostrato di essere validi. È difficile stilare una classifica di quelli più forti: penso che abbiamo vissuto varie epoche in cui i colori biancorossi sono stati indossati da giocatori di buon livello.
– Cosa è per te il Grosseto?
È stato meraviglioso vedere il Grosseto arrivare in serie B e rimanerci per anni. Ho seguito la squadra e continuo a seguirla, un po’ per il ruolo che ho avuto al Coni ed un po’ perché i colori unionisti rappresentano qualcosa di unico che mi ricordano le tante amicizie nate sul terreno di gioco. A quei tempi, quando giocavo, eravamo uniti e ci sentivamo una famiglia. Disputavamo le nostre partite interne al Campo Amiata e poi ci trasferimmo allo stadio attuale: per qualche anno, però, disputammo ancora qualche partita nel vecchio terreno di gioco. Non lo abbandonammo di punto in bianco ed oggi a ricordarlo c’è una targa che venne scoperta qualche anno fa: a svelarla c’eravamo io, Remo Carmignani ed altri ex giocatori grossetani.
Quella targa recita: Questo luogo, già “Campo Amiata”, memoria indelebile di tante imprese sportive, palestra di vita e casa di sogni biancorossi, ricordo perenne di un “Grifone” simbolo di vittoria. L’autore di queste parole così vere e sentite, che partono dal cuore, ha un nome ed un cognome: Carlo Pucci.